Chiesa di Santa Maria Donnaregina Vecchia
Le prime testimonianze documentarie di questo luogo risalgono al 780, quando venne citato un complesso monastico presso le mura cittadine detto San Pietro al Monte di Domina Regina, probabilmente in riferimento alla proprietaria dei terreni. Questo convento fu abitato da monache italo-greche, da basiliane, da benedettine nel IX secolo e infine da francescane in contatto, tradizionalmente, con la stessa santa Chiara. Un violento terremoto del 1293 distrusse il monastero che fu adottato dalla moglie di Carlo II d’Angiò, Maria d’Ungheria, madre del francescano Ludovico e di Roberto, re di Napoli al posto del fratello destinato a divenire vescovo di Tolosa e santo nel 1317. A partire già dal 1307, Maria provvide alla ricostruzione della chiesa in stile gotico, donando all’ordine gioielli e rendite provenienti dalla vendita di vino greco prodotto nei possedimenti reali di Somma. Completati i lavori nel 1316 la regina dispose che il suo sepolcro, realizzato dallo scultore senese Tino di Camaino e da Gagliardo Primario, fosse posto in questa chiesa.
Lo scultore arrivato a Napoli nel 1324, un anno dopo la morte di Maria, realizzò un magnifico monumento, oggi esposto nella parete sinistra della navata, che suggellava la stirpe reale degli Angiò a Napoli e che, per la grazia e l’armonia delle sue proporzioni, divenne il modello sepolcrale più richiesto dalla corte, con un baldacchino gotico, la regina distesa su un sarcofago retto da virtù che presenta i suoi figli sotto archetti. Di fronte al sepolcro, sulla parete di destra, si apre la cappella Loffredo, con una Crocifissione e Scene della Vita di San Francesco e San Giovanni Evangelista di un ignoto pittore della prima metà del Trecento. La navata della chiesa è costituita da un primo invaso di quattro campate su pilastri ottagonali che sostengono il coro ligneo delle monache.
L’altra parte della navata, che sfrutta tutta l’altezza della costruzione, si chiude con un’abside pentagonale con alte e ampie bifore e una volta a crociera. Nel 1390 un fulmine la colpì provocando un grave incendio che distrusse il tetto e alterò i colori degli affreschi presenti nel coro, a cui si accede da una scala esterna. Questi dipinti, seppur rossastri perché alterati dal calore delle fiamme, costituiscono il più vasto e interessante ciclo trecentesco conservato a Napoli. Realizzato a partire dal 1320, fu attribuito alla scuola di Pietro Cavallini che si formò a Roma nel cantiere di Santa Cecilia in Trastevere, e in particolare, alcune tipologie più arcaiche, come le Coppie di Personaggi del Vecchio e Nuovo Testamento, l’imponente Giudizio Universale della controfacciata e le Storie della Passione sulla parete sinistra del coro, sono riferite al maestro Filippo Rusuti. Riconducibili, invece, al terzo decennio del secolo XIV per un aggiornamento su sperimentazioni giottesche, sono le Storie di Santa Agnese e di Santa Caterina sulla parete destra e quelle di Santa Elisabetta sulla parete sinistra in basso.
Cavallini fu a Napoli intorno al 1308 e lavorò per il re Carlo, marito di Maria, realizzando, fra l’altro, la splendida cappella Brancaccio della chiesa di San Domenico Maggiore. Oltre agli affreschi, nel coro della chiesa di Donnaregina si può ammirare il cassettonato ligneo con l’Incoronazione della Vergine realizzato dallo scultore bergamasco Pietro Belverte all’inizio del secolo XVI e gli stalli lignei, dello stesso periodo, provenienti da San Lorenzo.
La chiesa conserva anche affreschi rinascimentali nelle parti basse del coro e due Crocifissioni ai lati dell’arco absidale. Si accede alla chiesa da un chiostrino trasformato con decori marmorei nel 1771.