Durante l’esodo faticoso attraverso il deserto, sconfortati e preoccupati di patire la fame, molti ebrei si diedero a mormorare contro i capi della spedizione, Mosè e Aronne. L’intervento miracoloso di Dio fu provvidenziale perché un mattino, evaporato lo strato di rugiada caduta copiosa dal cielo, sulla superficie del deserto apparve una sorta di brina granulosa e minuta. Aveva il sapore delle focacce col miele, e non s’era mai vista: tanto è vero che i profughi, mentre ne facevano incetta, la chiamarono “manna” (l’espressione ebraica sta per “che cos’è?”). Lo storico Giuseppe Flavio pensò trattarsi di una specie di lichene commestibile; altri oggi sostengono che fosse una sostanza dolciastra secreta da alcuni straordinari insetti locali. L’affresco nella volta, firmato e datato dal poco noto Santolo Cirillo, si inscrive nell’ambito dei “segni di Mosè” e allude tipologicamente alla funzione eucaristica dell’ambiente: la manna donata da Dio al Suo popolo, infatti, prefigura, la memoria eucaristica del pane e del vino e il sacrificio di Cristo (Gv, cap. 6, vv. 26-40).